La leggenda degli acchiappasogni (Indiani d’America)

Esistono (almeno) tre leggende famose che narrano come sia nato questo strumento incredibile.

Nella tribù Ojibwa

Una di queste è la leggenda della tribù Ojibwa, una tribù originaria del Nord America, secondo la quale l’acchiappasogni è nato grazie alla donna ragno.
Una donna bellissima di nome Asibikaashi, conosciuta anche come la donna ragno, appunto, era la protettrice del popolo della terra.

Si narra che Asibikaashi tessesse ogni notte una tela invisibile sulla culla di tutti i bambini della tribù.
La trama di questa tela era così tanto fitta, ma delicata, da essere in grado di intrappolare i brutti sogni e farli sparire al sopraggiungere del nuovo giorno.

Nella tribù Cheyenne

Tra gli Cheyenne si narra, invece, la leggenda della bambina Nuvola Fresca che un giorno rivelò alla madre, Ultimo Sospiro della Sera, di non riuscire a dormire perché ogni volta che scendeva la notte un uccello nero si posava su di lei e iniziava a beccarla.
Quell’uccello le faceva davvero tanta paura, ma al sopraggiungere della mamma per darle la buonanotte, l’uccello scappava via.

Ultimo Sospiro della Sera, per dare sollievo alla figlia, intessé una rete all’interno di un cerchio di legno, in modo da poter pescare ed eliminare i brutti sogni, ma anche conservare quelli belli e utili per la crescita spirituale della bambina.
Da quel momento in poi ne costruì uno per ogni culla dei bambini della tribù, così da proteggerli. Ogni bambino riceveva un acchiappasogni alla nascita e lo conservava per tutta la vita, abbellendolo ogni tanto, in modo da renderlo ancora più personale e di aumentarne la sacralità e il potere magico.
Nella tribù Lakota
Nella tribù Lakota, infine si racconta che un vecchio stregone di quella tribù ebbe una visione mentre si trovava sulla cima di un monte: davanti ai suoi occhi gli apparve il grande maestro della saggezza Iktome.

Lo spirito gli apparve sotto forma di ragno che tesseva la sua tela e mentre tesseva gli spiegava le sue saggezze. Inizialmente, raccontò del ciclo della vita: si nasce e da bambini si viene accuditi da persone che ci vogliono bene, crescendo si diviene adulti e infine anziani, da anziani nuovamente qualcuno si prenderà cura di noi, come se fossimo tornati nuovamente bambini.
Come in un circolo la vita si apre e chiude, così come è iniziata.

Mentre il ragno spiegava prese alcuni oggetti: un cerchio di salice, delle piume di aquila e dei crini di cavallo a cui appese delle perline, e iniziò a tesservi una tela all’interno continuando la sua lezione spirituale.

Disse che in ogni momento della vita ci sono delle forze in azione, a volte buone, a volte cattive: ascoltando quelle buone si prende la giusta direzione, seguendo quelle negative si andrà verso la rovina.

Alla fine Iktome consegnò all’anziano il cerchio con la rete, la cui tela era diventata un cerchio perfetto con un foro al centro. Gli disse di utilizzare quel simbolo per aiutare la sua gente a raggiungere gli obiettivi sfruttando le proprie idee, i propri sogni e visioni: quel talismano avrebbe lasciato passare tutti i sogni positivi, catturando gli incubi e i pensieri negativi che avrebbero affollato le loro notti.

Da quel momento i Lakota ritengono sacro l’acchiappasogni e lo appendo all’entrata dei loro tepee, le loro tende.

Fenrir (Miti nordici)

Voce narrante di Paolo Monesi

Fenrir è un gigantesco lupo leggendario della mitologia norrena. Fenrir venne generato dall’unione del dio Loki con la gigantessa Angrboða: nacquero con lui il serpente Jormungand e la sorella Hel. Fu successivamente allevato nella foresta di Járnviðr (“foresta di ferro”) da una strega. Per ordine di Óðinn visse nell’Ásgarðr. Cresceva in dimensioni e ferocia, tanto che solo un dio, Týr, ebbe il coraggio di portargli regolarmente di che cibarsi.

Nonostante le allarmanti profezie per cui da questa creatura terribile sarebbero venute solo disgrazie, gli dei decisero di incatenarlo senza ucciderlo. Per riuscire nell’impresa di legarlo, gli dei lo convinsero a mettere alla prova la propria forza.

Fenrir spezzò facilmente la prima catena, Lǿðingr (letteralmente: “che lega con astuzia”).

Così fece anche con la seconda catena, più robusta, chiamata Dròmi (letteralmente: “frenante”).

Gli dei, vedendo che Fenrir continuava a crescere smisuratamente, decisero di mandare un servitore di Freyr nel regno degli elfi per farsi fare una catena magica. Gleipnir (“che divora”, o “che deride”) fu allora costruita da certi nani con barba di donna, rumore del passo di gatto, radici di roccia, tendini d’orso, respiro di pesce e saliva (o latte) di uccello.

È da quel giorno, si narra, che le donne non hanno più la barba, i gatti balzando non emettono suono e sotto le rocce non crescono radici. La corda era molto sottile e somigliava a una striscia di seta, tuttavia spezzarla era impossibile. Fenrir venne convocato dagli dei sull’isola Lyngvi.

Gli venne proposto di provare a spezzare anche quella fune, ma l’enorme essere si fece sospettoso, temendo la presenza – a ragione – di qualche inganno o potente incantesimo. Il lupo accettò di venire legato solo dopo che Týr propose di mettere la propria mano tra le fauci di Fenrir a garanzia dell’onestà delle parole degli altri dèi.

Appena il lupo tentò di liberarsi da Gleipnir non vi riuscì, pur esercitando tutta la sua terribile forza. Gli dei scoppiarono a ridere assistendo allo spettacolo, tutti tranne Týr. A quest’ultimo, com’era prevedibile, fu mozzata di netto la mano. L’estremità della catena fu fermata da due rocce. Durante l’azione Fenrir tentò varie volte di azzannare i suoi carcerieri, così che gli venne infilata una spada tra le fauci in modo che non potesse più mordere.

Da quel giorno il lupo, folle di rabbia, ulula e sbava saliva mista a sangue dando origine al fiume chiamato Vön (letteralmente: “attesa”). Così Fenrir dovrà rimanere sino al giorno di Ragnarök, la fine del mondo, in cui tutti i legami saranno spezzati e in cui finalmente anche il lupo si libererà e avanzerà con le fauci spalancate tanto che la mascella inferiore toccherà la terra e quella superiore il cielo. Ingoierà il sole e divorerà Óðinn, dopodiché combatterà fino alla morte contro Víðarr, il figlio di Óðinn che vuole vendicare il padre.

La fanciulla di neve (Russia)

La fata Primavera non vuole porre fine all’inverno: agli uccelli confessa di non voler abbandonare Snegurocka, la figlia avuta dal vecchio Inverno. Iarilo, il sole, condanna per gelosia la bimba a morire se mai si innamorerà di un uomo. Inverno teme che il Sole infonda sentimenti d’amore nel cuore della figlia, tali da fondere il suo cuore fatto di ghiaccio. Per evitarlo, la nasconde nella casa di un contadino che abita all’entrata del villaggio dello zar Berendej.
Lasciata dunque la foresta dove viveva sola, Snegurocka si trasferisce nella nuova casa, ma non è felice e, per distrarla, Kupava, la sua migliore amica, la invita alle proprie nozze e le presenta Mizguir, il fidanzato. Questi si invaghisce subito di Snegurocka e abbandona Kupava, che si rivolge allo zar per averne protezione.
Berendej interroga la figlia dell’Inverno, che risponde di non amare nessuno,e, non sapendo come conciliare le due giovani donne, le invita alla festa di propiziazione della fine dell’inverno.

Durante la festa la fanciulla di neve resta immobile immersa nella sua tristezza glaciale; Kupava invece accetta l’amore di un pastore che desidera sposarla.

A sera Mizguir confessa il suo amore alla figlia di Primavera che ne resta colpita, tanto da tornare nei boschi a supplicare la madre di farle dono dei sentimenti d’amore. La fata Primavera appare portando una ghirlanda di fiori per la figlia: la giovane sente mutare dentro di sé qualcosa e va incontro a Mizguir.

Un sentimento nuovo, un’emozione mai provata prima, spinge la fanciulla ad accettare la proposta di matrimonio.

Sulle nozze che si stanno per celebrare, Mizguir invoca la benedizione dello zar, ma un raggio di sole, simbolo dell’amore, colpisce la fanciulla di neve che, sciogliendosi, scompare.

Il giovane sposo, disperato e affranto dal dolore si getta nel lago ma, dissoltasi la figlia del gelido Inverno, il sole ricomincia a splendere e torna così la primavera.

Ogni anno il ciclo si ripete: la mamma fata Primavera non vuole abbandonare l’amata figlia, ma alla fine la primavera fa ritorno, e a turno anche l’estate e l’autunno, ma questa è un’altra storia…