Don Guido Anelli: prete, partigiano e “paracadutista”

Don Guido Anelli - foto di gruppo

Il 25 novembre del 1944, in Vaticano, si svolse un incontro di grande importanza per le sorti della Seconda guerra mondiale in Italia: l’oggetto della discussione fu il supporto della Santa Sede alle attività partigiane in Nord Italia.

Alla riunione parteciparono tre persone. La prima era monsignor Montini, che oggi conosciamo come papa Paolo VI ma che nel 1944 era il più stretto consigliere di papa Pio XII; la seconda era Alessandro Cagiati, un italo-americano ufficiale dei servizi segreti statunitensi (OSS); la terza era Don Guido Anelli, il parroco di un piccolo paese dell’appennino emiliano, Ostia Parmense. Cagiati e Don Anelli si erano presentati a Roma per un obiettivo comune: perorare la causa della Resistenza agli occhi del Vaticano, che fino a quel momento aveva guardato con sospetto ai movimenti partigiani del Nord Italia, temendo che fossero troppo “rossi”.

I servizi segreti americani erano soprattutto interessati al supporto e alle informazioni che le reti della Chiesa italiana avrebbero potuto fornire per vincere la guerra. Don Guido Anelli invece si era recato a Roma per «informare il Vaticano sulle attività della Chiesa nel movimento clandestino nell’Italia del Nord» e, cosa più importante, per ottenere denaro e rifornimenti per i partigiani in vista dell’inverno. Don Guido infatti non era un semplice parroco di provincia. All’epoca trentunenne, Don Guido era tra i fondatori di una brigata partigiana, la Seconda Julia: aveva raggiunto Firenze a piedi, attraversando la linea Gotica lungo l’appennino, per incontrare Cagiati e dirigersi insieme a lui verso Roma per l’incontro in Vaticano.

Dopo che Cagiati e Don Guido ebbero incontrato Montini e altre importanti cariche dello stato Vaticano, la risposta della Santa Sede non si fece attendere: iniziò a fornire armi e rifornimenti ai partigiani tramite paracadute, facendo seguito con un sostanzioso contributo in denaro, una somma che oggi potrebbe equivalere a 1.300.000€.

A missione conclusa, Don Guido desiderava tornare a casa ma attraversare a piedi le linee nemiche in inverno sarebbe stato troppo pericoloso. Don Guido, che non era mai salito su un aereo in vita sua, poté rientrare a Ostia Parmenso solo grazie a un volo in paracadute, che gli valse il soprannome di prete volante con cui venne ricordato nelle cronache.

Don Anelli - foto di gruppo
Don Anelli – foto di gruppo a un congresso sulla Resistenza

Il volo in paracadute in ritorno dalla missione di Roma non fu l’unico di Don Guido Anelli. Pochi mesi dopo Alessandro Cagiati, che nel frattempo aveva ottenuto una promozione, stava lavorando con la sezione Monumenti quando chiese di nuovo l’intervento del prete volante. Il Monuments Man Frederick Hartt infatti aveva scoperto che i capolavori rinascimentali delle collezioni toscane, rubate dai nazisti in ritirata, erano stati nascosti in Trentino Alto Adige: ufficialmente ancora in Italia, ma nei fatti in un territorio sotto controllo tedesco, per di più molto vicino al confine. Tra queste opere figuravano capolavori di maestri come Botticelli e Caravaggio, che rischiavano di essere trasferiti velocemente in territorio tedesco se non direttamente distrutti durante una rappresaglia.

Cagiati pensò che sarebbe stato opportuno inviare un osservatore in Alto Adige per sorvegliere le opere in attesa degli Alleati. Non solo: sarebbe stato opportuno mandare qualcuno che non avrebbe destato sospetti e che avrebbe potuto circolare liberamente. Chi meglio di un prete?

Fu così che Cagiati organizzò una seconda spedizione per Don Guido Anelli, chiedendogli di raggiungere i depositi in provincia di Bolzano. Don Guido volò così fino al Lago di Garda per poi essere nuovamente paracadutato tra i monti del Tirolo.

Una volta raggiunta Bolzano, Don Anelli si mise subito in contatto con degli amici della zona per verificare le voci sui nascondigli dei tesori fiorentini. Ricevuta la conferma, organizzò una rete di preti e partigiani per sorvegliare le opere, una vera e propria pattuglia di sentinelle pronte a condurre gli Alleati ai depositi. Fu così che quando i Monuments Men raggiunsero Bolzano furono guidati direttamenti a San Leonardo e Campo Tures per controllare lo stato di conservazione dei capolavori sottratti l’anno precedente dai nazisti in ritirata.

Don Guido Anelli
Don Guido Anelli

Le foto inserite in questo articolo appartengono alla collezione Sergio Giliotti e sono state gentilmente messe a disposizione dalla Monuments Men Foundation for the Preservation of Art.

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Proteggere l’arte in tempi di guerra: le difficoltà della sezione Monumenti

I Monuments Men - Una foto di gruppo

All’inizio della loro missione i Monuments Men si trovarono a operare in condizioni di grande difficoltà. Infatti la sezione Monumenti, belle arti e archivi che dava loro il nome era inizialmente soltanto una sorta di reparto di consulenza all’interno dell’esercito anglo-americano: godeva dell’appoggio del Presidente Roosevelt e dell’élite culturale americana ma non aveva il diritto formale di impartire ordini ad altri soldati, a prescindere da ordine e grado.

Anche il numero di uomini assegnati alla sezione Monumenti era chiaramente insufficiente: per proteggere i beni di interesse culturale in tutto il nord Europa con lo sbarco in Normandia arrivarono in Francia solo 15 Monuments Men, tra inglesi e americani, di cui 7 assegnati a compiti di coordinamento in ufficio e 8 assegnati alle diverse armate per operazioni sul campo.

Come consulenti esperti di storia dell’arte i Monuments Men avevano in dotazione soltanto degli elenchi con i luoghi di maggiore interesse storico artistico e delle mappe per raggiungerli. Tutte le altre risorse necessarie per realizzare la loro missione, a partire dai semplici mezzi di trasporto per effettuare i sopralluoghi, dovettero essere oggetto di contrattazione con la burocrazia militare a partire

Dopo aver raggiunto un monumento presente negli elenchi, i Monuments Men erano chiamati a fare rapporto sullo stato di conservazione del bene ed eventualmente a organizzare un intervento di emergenza. A chiusura dell’ispezione gli uomini della Monumenti affiggevano un cartello con la scritta “Off Limits”: riportava gli ordini del generale Eisenhower, che impediva l’ingresso a personale militare nel monumento storico o istituzione culturale e che equiparava qualsiasi furto o danno a un’offesa di carattere militare.

Off limits - Il cartello dei Monuments Men
Il cartello Off Limits – Photo credit: US Archives

I celebri cartelli Off-Limits erano l’unico modo per impedire che gli edifici storici fossero ulteriormente danneggiati: i Monuments Men effettuavano i sopralluoghi quando i territori erano già stati liberati e non c’era alcun presunto motivo militare per arrecare ulteriori danni ai beni artistici.

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Il castello da fiaba che nascose i tesori artistici di Francia

Il castello di Neuschwanstein

Nel profondo sud della Germania, in Baviera, si nasconde un castello da fiaba, costruito su un picco roccioso e raggiungibile solo attraverso una strada lunga e tortuosa.

Il castello di Neuschwanstein è un labirinto di stanze bizzarre che rispecchia la personalità di Ludovico II di Baviera, il re che lo fece costruire ispirandosi alle opere di Wagner che conosceva a memoria. Soprannominato il “re Pazzo”, Ludovico II viene anche ricordato per aver fatto costruire delle slitte e delle carrozze dalle forme fantastiche, su cui viaggiava di notte, a volte vestito con dei costumi storici che amava particolarmente.

Durante la Seconda guerra mondiale il castello di Neuschwanstein fu trasformato in un deposito di opere d’arte. Il Monuments Man James Rorimer, durante le sue indagini a Parigi, venne a sapere di questo castello nell’ottobre 1944 da Rose Valland, una funzionaria del Louvre nonché spia della Resistenza francese.

 

Monuments Men a Neuschwanstein
I Monuments Men a Neuschwanstein. Photo credit: US National Archives

James Rorimer poté entrare a Neuschwanstein solo nell’aprile 1945 e scoprì che non si trattava di un deposito qualsiasi: trovò sale piene di dipinti, arazzi, mobili, libri e altri oggetti di uso domestico. Si trattava di gran parte delle collezioni artistiche francesi, pubbliche e private, che i Nazisti avevano sottratto durante l’occupazione, per un totale di oltre 21.000 opere d’arte.

A Neuschwanstein i Monuments Men trovarono anche le schede di inventario delle opere rubate, a dimostrazione che il saccheggio delle collezioni francesi era stata un’operazione sistematica e organizzata. Vista l’importanza di questo deposito, il castello venne immediatamente sigillato da James Rorimener poco dopo la visita, con l’ordine di impedire a chiunque di accedervi: salvaguardare i tesori nascosti a Neuschwanstein significava proteggere il patrimonio culturale di un’intera nazione.

Il castello di Neuschwanstein in una foto d'epoca
Il castello di Neuschwanstein in una foto d’epoca. Photo credit: US National Archives

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Operazione Gioconda: il salvataggio durante la Seconda guerra mondiale

La Gioconda - Foto ai tempi della Seconda guerra mondiale

Cosa accadde alla Gioconda durante la Seconda guerra mondiale?

Quando visitò il Louvre nel settembre 1944, il Monuments Man James Rorimer trovò una parete vuota con una scritta: “LA JOCONDE”. Il capolavoro di Leonardo non era più a Parigi dal 1939: poco prima dello scoppio della guerra le autorità francesi avevano provveduto a nascondere la tavola insieme ad altri tesori dei musei nazionali in depositi temporanei nella campagna francese, grazie alla regia del direttore Jacques Jaujard.

Alla Gioconda tuttavia era stato riservato un trattamento speciale: era stata caricata da sola e nel cuore della notte su un camion piombato per conservare l’opera a temperatura e umidità costanti lungo il tragitto. La tavola arrivò a destinazione in buone condizioni mentre il conservatore che l’aveva accompagnata rischiò lo svenimento per la mancanza di ossigeno sul mezzo piombato. Tornò a Parigi nel 1945, non prima di essere ospitata in 6 diversi nascondigli: l’ultimo fu il castello di Montal, dove fu custodita sotto il letto del conservatore del Louvre.

Operazione Gioconda: il capolavoro al sicuro, lontano di Parigi
Photo by Pierre Jahan/Archives des museés nationaux

L’evacuazione dei capolavori dai musei di appartenenza fu avviato per proteggere i tesori dalla distruzione della guerra e in particolari dai bombardamenti. Tuttavia nascondere le opere in depositi di campagna non le avrebbe salvate dalla confisca: i gerarchi nazisti erano al corrente delle operazione di messa in sicurezza così come dei nascondigli. Secondo Hitler il Reich sarebbe durato mille anni e non c’era l’esigenza di recuperare tutto e subito, in fretta e furia: la confisca sarebbe probabilmente stata solo una questione di tempo.

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Jacques Jaujard: l’uomo che salvò le collezioni di Francia

Jacques Jaujard - Ritratto nel suo studio al Louvre

Chi è l’uomo distinto che compare in questa foto?

Jacques Jaujard fu un protagonista delle Resistenza francese durante la Seconda guerra mondiale. Direttore dei Musées Nationaux di Francia, già pochi mesi prima prima dello scoppio della guerra Jaujard si adoperò per evacuare le collezioni del Louvre, nascondendole in depositi di campagna per proteggerli dai bombardamenti aerei, come accadde per la Gioconda.

Lottò con ogni mezzo per proteggere il patrimonio culturale francese, spesso rischiando la vita. Riuscì addirittura a salvare alcune collezioni private appartenenti a famiglia ebree francesi che i Nazisti avevano illegittimamente confiscato: le fece acquistare dai Musei Nazionali di Francia e le nascose in luoghi sicuri.

Uomo di grande influenza, Jaujard non fu solo: era a capo di una fitta rete di spie tra i dipendenti dei vari musei di Francia, oltre ad avere contatti all’interno della pubblica amministrazione. Al punto che quando Jaujard perse il posto di lavoro per aver denunciato il furto di un’opera d’arte, i dipendenti dei musei francesi diedero le dimissioni in massa, obbligando le autorità a reinserire Jaujard.

Oggi la scalinata d’ingresso dell’École du Louvre – la prestigiosa scuola superiore di storia dell’arte che si trova nello stesso palazzo del famoso museo – è intitolata proprio a Jacques Jaujard, per il suo prezioso contributo al salvataggio delle collezioni francesi, pubbliche e private.

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Deane Keller: il migliore amico del Camposanto di Pisa

Il Camposanto di Pisa in macerie

Nel luglio 1944 la Piazza dei Miracoli di Pisa – che ospita la famosa torre pendente – si trasformò in un campo di battaglia e rischiò di essere distrutta per sempre.

La causa dello scontro fu la presenza di una postazione di avvistamento tedesca asserragliata sulla torre pendente per sfruttarne l’altezza. Per fortuna la torre di Pisa non crollò mentre Duomo e battistero riportarono solo lievi danni. Al vicino Camposanto toccò invece una sorte diversa: il frammento di un ordigno fece scoppiare un incendo che devastò il tetto.

Lo storico cimitero di Pisa custodiva più di 1500 metri quadrati di affreschi di maestri del Trecento e del Quattrocento: una superficie superiore anche a quella della Cappella Sistina. Il tetto di piombo di sciolse, colando sugli affreschi: seccò l’intonaco facendoli cadere a terra, frantumati in milioni di pezzi. Come se non bastasse la distruzione del tetto espose le pareti affrescate agli agenti atmosferici per 5 settimane prima della liberazione della città.

Il Camposanto di Pisa
Il Camposanto di Pisa in macerie

Se gli affreschi non sono andati completamente perduti è merito di un lungo lavoro di conservazione e restauro durato fino ai giorni nostri e iniziato con Deane Keller. Questo Monuments Man capì fin da subito l’importanza di agire tempestivamente per salvare il Camposanto: per restituire ai pisani un pezzo della loro storia collettiva e per evitare agli alleati l’accusa di aver abbandonato questo tesoro alla distruzione. Keller lavorò per installare un tetto provvisorio che proteggesse il Camposanto e diede inizio al recupero dei singoli milioni di frammenti di affresco caduti dalle pareti.

La città di Pisa non ha dimenticato gli sforzi di Deane Keller, che oggi riposa nello stesso cimitero che ha contribuito a salvare. La sua lapide riporta la scritta Amicissimus ad amicos: “L’amico migliore è presso i suoi amici”.

Piazza dei Miracoli vista dall'alto
Piazza dei Miracoli vista dall’alto – sulla destra, il Camposanto e il tetto distrutto

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